venerdì 22 marzo 2013

ALIENAZIONE
L'alienazione è data dalla paura del futuro che soffoca la vita dell'uomo. Essa è uno stato di rifiuto della verità al fine di vivere senza cadere nella disperazione. Diversi sono i filosofi che trattano questo argomento.
Kierkegaard ad esempio parla di alienazione come conseguenza per l'uomo dell'angoscia che deriva dall'impossibilità di scelta

Nell'accezione usata da Ludwig Feuerbach il termine è usato per indicare quello stato patologico per cui l'uomo proietta fuori di sè una potenza superiore (Dio) alla quale si sottomette. Elabora così una teoria della religione vista come alienazione dell'uomo, poiché egli in questo processo si scinde: estranea da sé stesso caratteristiche proprie dell'uomo per creare una potenza che è superiore a lui, alla quale si sottomette.

Karl Marx e Friedrich Engels i quali, oltre a procedere nell'ulteriore critica dell'alienazione religiosa portata avanti da Feuerbach, dissero che l'alienazione originale che è alla base di tutti gli altri tipi di alienazione è l'alienazione economica. Alla base di questa, che condiziona tutte le altre, secondo la loro concezione dialettica ma materialistica della storia, vi sono:
-la divisione del lavoro
-la proprietà privata
Prendendo le mosse da quella che allora veniva chiamata sinistra hegeliana, i due filosofi che oltre a essere pensatori erano anche organizzatori e guide politiche, individueranno la forma maggiormente nota e dibattuta di alienazione, cioè quella subita dalla classe operaia. Secondo Marx, alienazione è quel processo che estranea un essere umano da ciò che fa fino al punto da estraniarsi da sé stesso.
L'operaio è alienato dal prodotto del suo lavoro, perché produce beni senza che gli appartengano e si trova, anzi, in una condizione di dipendenza rispetto ad essi;
L'operaio è alienato dal suo prossimo, cioè dal capitalista, che lo tratta come un mezzo da sfruttare per incrementare il profitto e ciò determina un rapporto conflittuale.



venerdì 23 novembre 2012

Schopenhauer


La via della salvezza.
-      Il rifiuto del suicidio.
Per Schopenhauer il dolore di vivere non può essere superato con il suicidio. L’unica causa del dolore universale è la volontà di vivere. Il nostro compito è di negare in noi la volontà di vivere per giungere ad una condizione di assoluta serenità interiore. Ma il suicidio non è la negazione della volontà di vivere; piuttosto, ne è la affermazione! Infatti il suicida, nell’atto di sopprimere il suo corpo afferma di voler vivere (anche se non più nel modo particolare in cui sta vivendo): il suicida afferma la sua "fame di vita" con il suo gesto estremo. Qui non si tratta di suicidarsi, ma di raggiungere la condizione di totale distacco dalle cose del mondo, una condizione di "nullificazione" del senso del possesso che è un non-sentire-più-niente: il nirvana di cui parlano i buddisti.
 Anche Leopardi, sia pur per altre ragioni, nega il suicidio.